Stiamo uscendo
dal Lockdown dovuto alla pandemia da Coronavirus ed è tempo di bilanci
soprattutto per la scuola, che si è trovata, di colpo, catapultata in uno
scenario surreale, costretta a chiudere gli istituti e reinventarsi da remoto.
Quindi non
si è potuto andare a scuola fisicamente, ma si doveva proseguire la formazione
e portare avanti la didattica, quasi fosse un imperativo slegato dal suo senso
originario, cioè formare gli uomini e le donne di domani non solo alla
competenza ma anche alla relazione. Scuola a distanza, quindi. Ma nello
specifico di cosa si tratta?
Si è partiti
volenterosi, anche se ancora tramortiti dagli eventi. Direttive ministeriali
unitarie non ci sono state, quindi ognuno ha interpretato come voleva: non i
singoli istituti ma ogni docente ha inteso la cosa a seconda della propria
forma mentis. Infatti ci sono stati insegnanti
zelanti che hanno cercato di adattarsi, cercando di trovare strategie utili,
anche a rischio di eccedere, tanto da pretendere che gli alunni rimanessero
davanti ad uno schermo fissi per ore. Altri invece hanno creduto che la scuola
a distanza fosse solo prendere il programma rimasto, spacchettarlo e rimandarlo,
in forma di schede, ai genitori che dovevano improvvisamente trasformarsi in
maestri qualificati e pronti all’azione.
Pur senza
fare retorica che parla di tempi andati migliori di quelli attuali, molti
genitori si chiedono che fine abbiano fatto quei bei libri di una volta su cui
si studiava a scuola: il sussidiario al cui interno c’erano tutte le nozioni di
cui si aveva bisogno. I bambini sono pieni di schede sparse che disorganizzano
il sapere e non lo rendono unitario e facilmente fruibile. A maggior ragione, oggi
che si lavora a distanza, bisognerebbe ritornare al libro ed evitare ai
genitori un grande sforzo organizzativo oltreché un notevole dispendio
economico legato alle fotocopie.
Tra le tanti
criticità emerse, c’è anche quella del recupero del materiale scolastico. Infatti
quando la scuola ha chiuso, si pensava ad un tempo contenuto per la ripresa.
Chi aveva lasciato in classe tutti i libri, come è consuetudine per i bambini
della primaria in tempo pieno, doveva pazientare. Ma anche qui, chi è stato più organizzato o
più furbo, ha subito trovato il modo di recuperare il materiale con insegnanti
volenterosi, che in totale sicurezza, consegnavano ai genitori il dovuto. Altre
scuole invece si sono barricate non permettendo più l’accesso. Dopo due mesi di
lotte genitoriali si è arrivati alla conclusione che il materiale è stato consegnato
a domicilio, con l’utilizzo della Protezione Civile. I genitori, increduli, si
sono chiesti se c’era bisogno di scomodare la Protezione Civile. Non era più
semplice delegare qualcuno, che con guanti, mascherina e disinfettanti
consegnasse a turno ai genitori il materiale? D'altronde non siamo nella fase
2?
In Italia ci
pregiavamo ancora di poter avere una scuola pubblica seria e rigorosa, che
formasse adeguatamente le nuove leve, nonostante le paghe decisamente basse dei
docenti italiani. Ma in un momento in cui il tempo è bloccato dalla pandemia e
dalla conseguente crisi economica, la speranza nel futuro è la conditio sine
qua non per la ripartenza. Quindi investire nel futuro dei figli può essere il
motore della ripresa psicologica e motivazionale di un’intera comunità che
metta l’istruzione al centro. Ma la scuola di oggi si è fatta cogliere
impreparata a gestire un’emergenza certo impensabile, ma reale.
Alcuni paesi europei si stanno organizzando
per riaprire la scuola in presenza, noi non siamo pronti. Dopo due mesi di sperimentazioni,
ancora non si sono prese delle misure che contengano l’emergenza scolastica. Certo
nella scala dei bisogni primari c’è prima la sopravvivenza (quindi l’emergenza
sanitaria) e poi quella economica, dovuta e necessaria, da prendere in
considerazione. Ma subito dopo non sarebbe doveroso metterci la scuola? Prima
di trattare temi seppur importanti come lo sport, le seconde case, le vacanze
che non si possono fare e via dicendo.
Oggi si parla
di scuola solo come parcheggio per bambini che devono trovare una collocazione fisica
nel momento del rientro al lavoro dei genitori. Ma i genitori, sempre più
stanchi e perplessi, si chiedono che fine faccia la qualità scolastica; se si
considerano le ripercussioni psicologiche che questi bambini avranno, nel
vivere una scuola confusa e senza certezze; se le carenze didattiche e
metodologiche di oggi rimarranno come segni indelebili di cui non potersi
disfare.
Tutte queste
criticità hanno evidenziato un bisogno urgente di direttive precise e universali
per tutto il territorio nazionale come simbolo di una ripresa comunitaria che
deve credere nel futuro e ripartire dalla scuola.
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